sabato 28 aprile 2012

Letture Aprile 2012

ERNEST HEMINGWAY
Fiesta
La prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver letto Fiesta è: "Ma quanto gli è costata questa vacanza a Jake Barnes?".
Fra alberghetti più o meno lussuosi, grandi mangiate, mance generosissime, liquori e pregiate bottiglie di vino (fra cui ricordiamo il famoso Fundador Amontillado e il Rioja), il personaggio di Jake, giornalista americano di stanza a Parigi, si muove tra caratteristici paesini della Spagna insieme ad uno strano gruppo di amici.
Nel romanzo i personaggi, tutti con evidenti problemi di alcol, bevono in continuazione: bevono da soli, bevono con amici e sconosciuti, bevono per dimenticare o per mettersi a proprio agio durante i giorni della Fiesta.
Ed è proprio Pamplona, con la sua famosa festa di San Firmino e le sue corride, a far da cornice alla storia.
Hemingway descrive minuziosamente le fasi più importanti della fiesta popolare che inizia con gran fragore fino a scemare dopo sette giorni insonni fatti di canti, balli, vino, tori e toreri.
Non guasta mai, come in questo caso, la presenza di una bizarra femme-fatale, Brett, che sembra essere innamorata di tutti (compreso lo stesso Jake) e di nessuno.
Ancora un ultima cosa mi ha colpito del romanzo: ovvero la semplicità e l'efficacia con cui Hemingway conduce i dialoghi tra i personaggi nel corso del libro.
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* La fiesta era davvero cominciata. Continuò giorno e notte per sette giorni. Continuarono le danze, si continuò a bere, e per una settimana il chiasso non cessò.
Le cose che accadevano, potevano solo accadere durante una fiesta. Tutto diveniva irreale e pareva che niente potesse avere conseguenze.
Pareva fuor di posto pensare alle conseguenze durante la fiesta. Per tutto il tempo che la fiesta durava, si aveva la sensazione, anche quando c'era calma, che bisognasse urlare ogni frase per farsi sentire. La stessa sensazione si aveva per le azioni.
Era una fiesta, e per sette giorni continuò. 

* Spezzone tratto da Fiesta di Ernest Hemingway - Oscar Mondadori - VIII Edizione 1980 - pag. 206

sabato 21 aprile 2012

Riflettiamo...

LE ACCISE CHE LO STATO PRELEVA DAL PREZZO DELLA BENZINA

    - 0,001 euro per la guerra di Abissinia del 1935;
    - 0,007 euro per la crisi di Suez del 1956;
    - 0,005 euro per il disastro del Vajont del 1963;
    - 0,005 euro per l’alluvione di Firenze del 1966;
    - 0,005 euro per il terremoto del Belice del 1968;
    - 0,051 euro per il terremoto del Friuli del 1976;
    - 0,039 euro per il terremoto dell’Irpinia del 1980;
    - 0,106 euro per la missione in Libano del 1983;
    - 0,011 euro per la missione in Bosnia del 1996;
    - 0,020 euro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
    - da 0,0071 a 0,0055 euro per il finanziamento alla cultura nel 2011;
    - 0,040 euro per far fronte all’emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011.
    TOTALE: 0,26 euro per ogni LITRO di BENZINA

venerdì 13 aprile 2012

Notizie dal Mondo

La birra rende intelligenti: ecco giustificato il genio di Bukowski*


Un paio di birre e sei più intelligente o quantomeno creativo, ma solo se sei uomo. È quanto sostengono i ricercatori dell’Università dell’Illinois di Chicago. Gli studiosi hanno fatto un esperimento su un campione di 40 uomini: chi aveva bevuto un paio di birre è stato più veloce a risolvere un quiz rispetto a chi era sobrio. Dalla ricerca è emerso che chi aveva bevuto ha risolto il 40% dei problemi in un tempo minore rispetto a chi non aveva assaggiato neanche un sorso: 12 secondi contro 15,5 secondi. Stando alla ricerca dunque una piccola quantità di alcol nel sangue aiuta a risolvere problemi soprattutto di tipo creativo, cosa che dimostra come scrittori del calibro di Charles Bukowski abbia tratto “vantaggio” dal bere.
Sembra che la birra sia diventata il banco di prova di tutti gli studiosi: prima la ricerca sui “Beer Goggles“, la capacità cioè degli alcolici di rendere più bella la realtà, ora quella sull’intelligenza alcolica.
La psicologa Jennifer Wiley ne è convinta: un po’ d’alcol non fa male, anzi aiuta a essere più creativi. Anche se i bevitori “non sono bravi nei compiti che coinvolgono la memoria, diversamente riescono a risolvere problemi di tipo creativo“.
Così la dottoressa spiegherebbe la capacità di scrittori come il già citato Bukowski, Ernest Hemingway o John Cheever di creare capolavori nonostante i loro problemi di dipendenza da alcol.
Un paio di bicchieri a cena aiutano l’aspetto creativo a venir fuori“, ha concluso la Wiley.
Peccato che i suddetti scrittori ne bevessero più di un paio e che il genio non si misura a birre: non tutti possono diventare il nuovo Bukowski bevendosi un paio di pinte.
Magari ci si può provare, ma non date la colpa alla birra se non riuscite a scrivere capolavori.

* Articolo tratto dal sito http://www.haisentito.it/

mercoledì 11 aprile 2012

Letture Aprile 2012

MANUEL VAZQUEZ MONTALBAN
La Solitudine del Manager*

...Carvalho decise di consolarsi pranzando all'Agut d'Avignon, ristorante
con cui si compiaceva per la bontà dei suoi piatti e dove si dispiaceva per l'esiguità delle porzioni. Quando il poeta Graciàn scrisse "... le cose buone, se brevi sono doppiamente buone" non pensò al cibo, e se così fece, significa che Graciàn fu uno di quegli intellettuali di merda capaci di nutrirsi di minestrine in brodo o di un uovo sodo, sodo come le loro teste. "Bisogna mangiare per vivere, non vivere per mangiare,"  ha detto più di n filosofo arrugginito, massima che oggi sostengono certi dietologi senz'altra scienza a cui attaccarsi che la repressione degli obesi.









* Manuel Vazquez Montalbàn - La Solitudine del Manager - Universale Economica Feltrinelli - I edizione 1995 - 6,50 euro

Omaggio a Miriam Mafai: il suo ultimo articolo

Così salvammo quei bambini*
* La Repubblica 02 Febbraio 2012

"Ma Cassino non esiste più...", ci raccontava Pina Savalli, la nostra amica che da qualche settimana si era trasferita lì per organizzare il trasferimento dei bambini, i più affamati, i più ammalati verso le ospitali case dei contadini emiliani. Pina Savalli era un bravo medico ma noi pensavamo che esagerasse. Invece aveva ragione: Cassino non esisteva più. Cancellata prima dai bombardamenti per lo sfondamento della Linea Gustav, e poi dall'avanzata delle truppe alleate verso Roma, Cassino si presentava ormai, nell'inverno tra il 1945 e il 1946, come un campo di battaglia, abbandonato, coperto da una palude di melma e di fango, interrotto dai lugubri cartelli "go slowly; death is so permanent". E i bambini, che avevano avuto la sventura di nascere a Cassino e nei paesi vicini, figli di poveri contadini, vivevano, o meglio sopravvivevano, prime vittime della guerra, nelle grotte, nelle case semidistrutte, nelle baracche, esposti da mesi al freddo alle malattie alla fame.

Fu il Congresso comunista del dicembre del 1945, a lanciare, da Roma, un appello per la salvezza dei bambini di Roma e del Sud. E immediatamente giunsero le offerte delle famiglie emiliane disposte ad ospitare, per il tempo necessario, i piccoli meridionali affamati e malati. Ho partecipato, allora, alla organizzazione della partenza dei bambini romani per le accoglienti
famiglie di Modena e Reggio Emilia. A Roma, a poco più di un anno dalla liberazione, si pativa ancora il freddo e la fame. Nelle case di Primavalle, del Quadraro, del Quarticciolo si viveva di miseria e di espedienti. E noi andavamo di casa in casa a chiedere chi voleva affidarci un bambino per mandarlo a vivere, per qualche tempo, presso una famiglia emiliana che lo avrebbe nutrito, rivestito, mandato a scuola, se necessario curato. Mi chiedo ancora, a distanza di tanti anni, come ci riuscimmo.

La fame doveva essere tanta, e tanta la fiducia in noi se ci riuscimmo. E a metà gennaio, da Termini partì il nostro primo treno speciale per Modena carico di scalpitanti irrequieti bambini romani. Poi fu la volta di Cassino, la zona che è rimasta giustamente simbolo della massima distruzione ed emergenza. Cassino non esisteva più, e i paesi intorno erano ridotti a macerie. Ma tra quelle macerie, in quei tuguri vivevano ancora i superstiti di quella tragedia, donne, uomini e bambini. Li andarono a cercare Pina Savalli, e altre nostre amiche, tra cui la professoressa Linda Puccini e l'efficientissima Maria Maddalena Rossi, che ritroveremo poi deputato alla Costituente. Ci vollero quasi due mesi di lavoro a Frosinone per vincere i sospetti ("ma dove li portate?","quando torneranno?") e organizzare, superata l'emergenza, le prime partenze. Ma finalmente, i primi treni di bambini ospiti delle generose famiglie emiliane partirono anche da lì. E Pina Savalli, la nostra amica medico che era stata tra le organizzatrici di quel trasferimento, ci raccontava, anche anni dopo, quella vicenda con la stessa passione ed emozione. "Se quei bambini fossero rimasti lì" - diceva - "in quelle baracche o in quelle caverne in cui li avevamo trovati sarebbero certamente morti o, se sopravvissuti sarebbero rimasti gravemente menomati, malaticci, disadattati, esposti a tutte le malattie...". E invece no. L'emergenza era stata superata, e quei bambini si erano salvati.